Intervista a Maria Rosa Cutrufelli
di Jolanda Bufalini
Maria Rosa Cutrufelli è la madrina di Feminism 3, la terza edizione della Fiera dell’editoria delle donne. In questo suo ruolo darà il via all’inaugurazione. Il suo nuovo libro, L’isola delle madri, che esce il 3 marzo da Mondadori, sarà presentato in anteprima alla fiera. Un romanzo eco-distopico, anche se, in modo più appropriato, viene definito “fiction speculativa”, vi si parla di ciò che è già ed è su questo che specula l’immaginazione dell’autrice.
D. L’ambiente è il tema al centro di questa edizione di Feminism, in modo esplicito, attraverso i focus, e in modo implicito in un certo numero di titoli presentati in fiera, compreso L’isola delle madri. Prima di passare al tuo romanzo vorrei chiederti: qual è il nesso fra l’emergenza climatica e il pensiero delle donne?
R. “Il femminismo degli anni settanta non è nato ambientalista, la questione allora era di là da venire, anche se i segni c’erano già e alcuni studiosi, come Rachel Carson e come mio padre, chimico, che io cito nella postfazione, li coglievano. Ma erano voci isolate. Abbiamo imparato da donne provenienti da paesi in via di sviluppo, da Wangari Maathai e Vandana Shiva che le battaglie femministe si misurano anche con il mondo, con la natura, da loro è venuta la maggiore spinta all’attenzione ai modi di produrre e a uno sviluppo differente”.
D. Il tuo libro parla di fertilità, anzi di una drammatica caduta della fertilità. Ambientato, anche, in una terra in cui il mito si intreccia con la tragedia greca. Anche qui un nesso non scontato fra maternità e fertilità della terra, non ti pare?
R. ”Tutti parliamo di inquinamento e dei rischi per la salute ad esso collegati. Ma i medici ci dicono di più, stabiliscono un nesso diretto. Però l’unico effetto pratico è il consiglio di non fumare in gravidanza. Va bene, ma non basta. L’aria, l’acqua, il cibo inquinati causano mutazioni genetiche, ecco dove la fertilità umana e la fertilità della terra vanno affrontate insieme”.
D. C’è l’impossibilità di avere figli ma c’è anche la scelta, come nel caso di uno dei tuoi personaggi, Sara.
R. “Sara è una donna che ha fatto una scelta di non procreazione ma fa una scelta di genitorialità, una scelta di generosità”.
D. I dati sulla fertilità che fornisci nella postfazione sono sconvolgenti. Io ricordo che solo 20-25 anni fa, in molti paesi del Nord-Africa e del Medio Oriente l’età media era di 20 anni, erano popoli giovanissimi e anche a questo si attribuiva l’insorgere di rivolte e rivoluzioni.
R.”I dati dell’Onu ci dicono che il tasso delle nascite si è dimezzato anche nei paesi poveri, con l’eccezione di alcune zone e scontando, ovviamente, i paesi in guerra dove è impossibile fare statistiche. Il tasso di fertilità nella parte meno sviluppata del mondo è ancora il doppio rispetto a quella dei paesi ricchi. La popolazione è ancora in aumento ma il tasso di fertilità ha raggiunto l’apice, si è fermato e tende a scendere”.
D. Ma non ci sono fattori diversi rispetto all’inquinamento, come il cambiamento degli stili di vita?
R. “I fattori sono molteplici, ci sono fattori economici e sociali, c’è l’occidentalizzazione degli stili di vita. Ma c’è anche l’aumento della sterilità, una coppia su cinque non riesce ad avere figli, la sterilità è più frequente fra gli uomini che fra donne, forse perché gli uomini sono tuttora più esposti all’ambiente. D’altra parte, le tecniche biomediche sono nate per questo. Il 90% delle persone che si rivolgono alle strutture per la procreazione assistita sono coppie eterosessuali”.
D. C’è un ragazzo nel romanzo che intraprende una durissima battaglia contro una potente multinazionale dei pesticidi.
R. “Certo, il glifosato è una sostanza genotossica. Le sostanze genotossiche non influiscono solo sulla malformazione dei feti ma anche sulla sterilità e hanno effetti sulla terra che possono durare centinaia o forse migliaia di anni. E le battaglie fatte finora sono state perse. Ancora oggi nella pasta che mangiamo c’è il glisofato, solo recentemente qualche regione, il Veneto mi pare, ha vietato le paste che contengono glisofati.”
D. Affronti il tema scottante della GPA, della gestazione per altri. L’impressione, attraverso le diverse donne che si incontrano nell’isola delle madri, è che tu suggerisca, nel pieno dello sviluppo delle tecnologie per la procreazione, un’idea che rimanda a un mondo antico, al villaggio dove la famiglia è allargata e i bambini entrano e escono da case diverse, hanno – in un certo senso – madri diverse.
R. “Questo non significa che non restino problemi giganteschi. La specie umana ha trovato nelle tecnologie degli escamotage per fare fronte alla caduta della natalità. Problemi per madri e padri che restano irrisolti se non sono affrontati anche al livello della immaginazione. Io ho cercato di raccogliere, dal mio punto di vista di donna, la sfida lanciata da Amitav Gosh. Ha notato Gosh che gli scrittori e le scrittrici si occupano poco dei temi della trasformazione globale. E questa è una sconfitta culturale. Lui ha scritto L’isola dei fucili (Neri Pozza 2019) – anche qui torna, peraltro, “l’isola”. Io provo a misurarmi attraverso questa isola femminile”.
D. Un altro dei tuoi personaggi, Livia, l’archeologa che è in costante contatto con il mondo antico e la visione di Eschilo, vive l’impossibilità di avere figli come una colpa.
R. “Anche la scelta di non avere figli non è semplice, non si fa a cuor leggero. Ma se non puoi averne, allora il dolore diventa ossessione, senso di colpa che non puoi governare”.
D. Il centro ipertecnologico per la procreazione che rappresenti è il solo luogo pulito in un mondo sporco, inquinato, trascurato, eppure suscita una certa repulsione, con le sue reti di confine.
R. “C’è una ambivalenza nei nostri sentimenti quando ci affidiamo ai medici, soprattutto quando l’attività medica è business. L’eccesso di pulizia è qualcosa di estraneo al nostro essere vivi. Rassicura e al tempo stesso sgomenta. Tanto più se il luogo è finalizzato alla salvezza della specie”.